1.
Profumi parigini
Nell’appartamento al terzo piano del numero 11 di vicolo Voltaire squillò il telefono. Annette e Fabrice sollevarono lo sguardo dai libri di scuola e si scambiarono un’occhiata. Al terzo squillo rispose la voce della madre con il classico tono da “telefonata di lavoro”.
— È il momento, Fabò! — sussurrò Annette.
Tutti chiamavano il fratello Fabò, tranne i suoi genitori quando erano arrabbiati con lui.
Lui annuì con decisione. I due misero da parte i libri di scuola e si presentarono davanti alla madre.
— Ciao, mamma... Senti, visto che è ora di merenda... noi quasi quasi andiamo giù a mangiare una crêpe mitragliò Fabò, con studiata rapidità.
La madre, che mordicchiava una biro, con l’orecchio appiccicato alla cornetta e l’aria assorta, si limitò ad annuire, facendo un cenno sbrigativo con la mano. Il tempo di scambiarsi un sorrisetto complice e i due ragazzi schizzarono via. Si tuffarono giù per le scale, mentre alle loro spalle sentivano ancora la voce della madre che tubava: — Oh, ma naturalmente, ovvio che posso farlo...
Valentine Gaillard era una giornalista freelance e una madre moderna e intraprendente. Infatti, aveva appena intrapreso un’ambiziosa iniziativa per migliorare l’alimentazione della sua famiglia: le crêpe al cioccolato erano state bandite senza pietà. Per sua sfortuna, però, Annette e Fabò avevano ereditato la stessa intraprendenza!
I due ragazzi uscirono per strada puntando decisi verso il Petit Canard, il locale che preparava le crêpe più deliziose di tutto il quartiere.
L’impatto con l’aria parigina, però, non fu piacevole.
— Oddio, che puzza! — esclamò immediatamente Annette tappandosi il naso.
Ma che cosa succede? — si lamentò Fabò alzandosi la felpa sulla faccia come una mascherina.
L’aria aveva un odore acre che pungeva il naso. Sacchi e sacchi di rifiuti erano accatastati su entrambi i lati di vicolo Voltaire.
Lo sciobero dei deddurbìdi — rispose la sorella, sempre col naso tappato.
Fabò capì: erano giorni che i telegiornali andavano ripetendo la notizia dello sciopero dei netturbini, mostrando le tristi immagini di mucchi di rifiuti ammassati lungo i marciapiedi.
I due accelerarono il passo e dopo un paio di minuti varcavano già la soglia del Petit Canard.
Aahh... — sospirò Annette con sollievo, mentre si riempiva le narici del buon profumo di uova, vaniglia e burro che aleggiava nel locale. Fabò notò che il loro tavolino preferito, quello d’angolo, accanto alla vetrina, era libero e corse subito a occuparlo.
Bernard, il padrone del Petit Canard, non chiese nulla. Semplicemente, pochi minuti dopo si presentò al tavolo dei ragazzi con due crêpe speciali al cioccolato di Bruxelles. — Ed ecco a voi... il solito — disse depositando i due piatti sul tavolo con un inchino. — Super abbondante, visto che è un po’ che non ci vediamo!
— Già, Bernard — annuì Annette. — Non dire niente. Devi sapere che a casa c’è qualcuno che vorrebbe farti perdere i tuoi due clienti migliori.
— Ma sappi anche che non ci riuscirà mai! — aggiunse Fabò ridacchiando.
Bernard si arricciò il baffo destro, come per sottolineare il sorriso divertito. I due fratelli affondarono le forchette nel soffice ventre delle loro crêpe, con larghi sorrisi compiaciuti. Per alcuni lunghi istanti, l’unico rumore fu quello delle loro mandibole.
— Incredibile... — disse poi Fabò.
— Vero. È incredibile che la mamma voglia privarci di questa delizia — confermò Annette.
— No, non intendevo le crêpe — replicò il fratello, con un baffo di cioccolato che gli segnava la guancia come la ferita di un bucaniere. — Mi riferivo a quel tizio — E indicò un ometto nel negozio di Picard, il salumiere, sul lato opposto della strada.
Annette guardò dove indicava il fratello. — E perché?
— È incredibile che al giorno d’oggi qualcuno si metta ancora cappelli come quello!
Annette appoggiò la mano sulla vetrina. — È un basco! Tipicamente parigino... — commentò dopo un’occhiata attenta.
— Anch’io sono parigino, — fece notare scandalizzato Fabò — ma non mi metterei mai in testa quella specie di frittella spiaccicata.
Annette sorrise. Si appoggiò allo schienale di vimini della sua sedia e tornò a concentrarsi su quanto restava della crêpe. Ma qualcosa la tenne agganciata al tizio con il basco e continuò a pensare a lui, mentre il fratello si era già distratto.
— In effetti, hai ragione... è davvero un tipo strano osservò guardando di tanto in tanto verso la salumeria.
Puntare i “tipi strani” fra la gente che affollava i marciapiedi di Parigi era una delle attività preferite di Annette. Un giorno o l’altro, avrebbe cominciato ad annotare i più bizzarri su un taccuino tutto per loro.
In quell’occasione si trattava di un uomo di bassa statura, con un corpo mingherlino che si perdeva in un impermeabile grigio dalla foggia antiquata. La grossa testa dell’uomo, decisamente sproporzionata rispetto al corpo, sembrava ancora più grande a causa dell’ampio basco scuro che aveva attratto l’attenzione di Fabò.
— Guarda come gesticola! — esclamò la ragazza avvicinando di nuovo il volto alla vetrina. — Sembra completamente matto...
— Da come sventola quello scontrino, direi che non è troppo contento del prezzo delle salsicce — commentò Fabò masticando l’ultimo boccone della sua crêpe.
— Ehi, e adesso cosa succede? — esclamò Annette.
L’ometto con l’impermeabile e il basco era diventato tutto rosso in volto, si era avvicinato al salumiere e lo fronteggiava puntandogli contro un dito minaccioso.
Fabò deglutì in fretta il suo boccone, spalancando gli occhi. — Annette! Guarda che coltellacci ci sono appesi là! Sembra quasi che ne voglia afferrare uno!